Il Milan di Arrigo Sacchi

"I'll Keep Holding on"

Il Milan di Arrigo Sacchi

Il Milan di Arrigo Sacchi e la sua filosofia di calcio, deve intanto concedere il ruolo di artefice numero uno, a Silvio Berlusconi. Senza la sua intuizione, in qualità di profondo conoscitore e ambizioso imprenditore, la meravigliosa creatura non sarebbe mai stata plasmata.

L’aspirazione del Santo Graal calcistico, cioè vincere incantando, era per quell’epoca (fine anni ’80) a dir poco visionaria. L’ambiziosa follia di primeggiare percorrendo nel buio un sentiero invisibile in cui era indispensabile crederci. E non solo.

Quando il Cavaliere capì, dopo pochi mesi dall’ingaggio di Sacchi, che a credere nel progetto era solo lui, e non i calciatori, non ebbe timori a scendere in campo a muso duro, “invitando” la ciurma ad adeguarsi pena il licenziamento degli stessi a fine stagione.

Espressione di Calcio

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La grandezza di quel Milan, e la complessità della costruzione, è misurabile non solo per l’espressione calcistica a zona in campo, opposta alla tradizione contropiedista ad uomo italiana, ma anche per l’esaltazione dei valori tecnici di cui disponeva.

Ma in sintesi: Conta più l’allenatore o i calciatori?

La storia calcistica è zeppa di allenatori innovativi che al timone di grandi squadre ha fallito. Da Zeman a Orrico, da Gasperini a Maifredi, solo per citarne alcuni. Gli ostacoli erano e sono rappresentati da campioni, troppi, affermati che poco si adeguano a differenti idee di gioco, scuole di pensiero immodificabili, tempi di adattamento troppo ristretti e cosi via.

Diciamo che un grande allenatore senza bravi calciatori, difficilmente può ambire a grandi traguardi. Ma è anche vero che con tante stelle o prime donne, il risultato non è per niente garantito (vedi Brasile ’82). Ci sono poi le imprese storiche come l’Italia al Mundial ’82 o la Danimarca agli europei del ’92.

Sicuramente un tecnico in periferia, lontano dalle luci della ribalta, può favorevolmente trasmettere e far assimilare le proprie idee, guidando ragazzi che hanno voglia di crescere e una società che consente tale processo, senza pressioni.

La Filosofia di Arrigo Sacchi

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Tuttavia Arrigo Sacchi non subì la stessa sorte in quel Milan, grazie anche e soprattutto a Silvio Berlusconi che ne sposava in toto il progetto.
Nell’epopea di quel gruppo si concentrarono tutte le alchimie umane, tecniche, motivazionali che ne plasmarono un’identità calcistica meravigliosa. Grandi interpreti al servizio di una grande filosofia di calcio, opposta alla tradizione calcistica italiana.

Lo spartito tattico imposto da Sacchi, fondato sul pressing asfissiante, fuorigioco, squadra cortissima e superiorità in ogni zona del campo, veniva esaltato dalla cifra tecnica dei calciatori che superavano la specificità dei ruoli, con grande dinamicità nell’attaccare lo spazio. La supremazia appariva schiacciante:

In porta il nazionale Giovanni Galli;

La retrovia era dominata dalla classe di Franco Baresi e la ruvidità di Billy Costacurta o Filippo Galli. Sulle fasce Mauro Tassotti e Paolo Maldini , che erano soliti sganciarsi come stantuffi per arrivare al cross dal fondo;

Gli apparenti esterni di centrocampo Roberto Donadoni, Angelo Colombo e Chicco Evani, ad affondare o ad entrare in mezzo, liberando le corsie esterne per l’attacco alla profondità. Carlo Ancelotti e Frank Rijkaard, ad imporre qualità e sostanza in mezzo;

Ad imperversare lungo il rettangolo offensivo e dominare l’area di rigore, la classe del cigno di Utrecht Marco Van Basten, lo strapotere fisico di Ruud Gullit e il goleador sardo Pietro Paolo Virdis.

Arrigo Sacchi

Un 4-4-2 di presentazione la cui evoluzione tecnica, tattica e dinamica in campo era illeggibile per chiunque. I dettami, grazie alla duttilità dei singoli e il dinamismo imposto dal modulo, privilegiavano molteplici soluzioni di scarico per ogni giocatore in possesso palla. Analogamente per la riconquista della palla con i raddoppi in pressione grazie alla squadra corta.

Tecnica, tattica e fisicità in un epoca in cui il calcio era zeppo di grandi campioni e fuoriclasse. Forse oggi è rimasta solo la preparazione fisica, perché di grandi giocatori ce ne sono davvero pochi.

La Stella Rossa

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Solo la Stella Rossa di Belgrado incastrò quel Milan. Nel doppio confronto degli ottavi di Coppa Campioni 88-89, all’andata di San Siro bloccò il risultato sul 1-1 . Al ritorno, in vantaggio 1-0 grazie alla rete di Savicevic, la banda di Sacchi fu salvata dalla nebbia. La giornata negativa fu segnata ulteriormente dal grave infortunio di Donadoni che si fratturò la mandibola.

In sostanza gli Slavi capirono che il possesso palla era troppo ambizioso per contrastare l’ossessivo pressing dei rossoneri. Pertanto, più che farsi rubare palla, la concedevano volentieri, arroccandosi e ripartendo in contropiede

In quel doppio confronto la banda di Sacchi cadde nella trappola e nella ripetizione, terminata 1-1, le parate di Giovanni Galli ai rigori consentirono la qualificazione ai quarti. Il destino di quel Milan, in quell’occasione, fu assecondato dalla dea bendata del calcio. In molti pensano che l’eliminazione, se non ci fosse stata la nebbia, avrebbe cambiato la storia di quella squadra e di Sacchi.

Il Barone Nils Liedholm

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Nella nascita di quella squadra meravigliosa è necessario condividere i meriti anche con un altro grande: Nils Liedholm.
Il “Barone” in qualità di precursore, trapiantò già negli anni precedenti il concetto di zona, dalla squadra capitolina della Roma al Milan. Un concetto fondato su di un possesso palla compassato, una ragnatela di passaggi finalizzata alla verticalizzazione opportuna.
Le marcature a uomo vennero soppiantate da movimenti sincronizzati a zona, del reparto e tra reparti. Grande organizzazione di gioco, la cui orchestra romana era diretta dalle retrovie da Agostino Di Bartolomei, in mezzo da Paulo Roberto Falcao con un furetto di Nettuno sulla fascia Bruno Conti.

Veniva considerata una Zona Lenta in cui il dispendio di energie psicofisiche era limitato rispetto alla zona di Sacchi, che invece era ossessiva nel recuperare palla e stringere le squadre avversarie in un fazzoletto di campo.

C’è chi dice che vincere non toccando palla sia il massimo. Credo invece che pur non disdegnando qualsiasi vittoria, vincere dominando sia più determinante. Tuttavia ci sono grandi squadre (Olanda anni ’70) belle da vedere ma che non hanno vinto. Il Milan di Arrigo Sacchi si annovera sicuramente sul palcoscenico della massima espressione del calcio mondiale.

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